METTETE LA MASCHERINA AGLI STATISTICI CHE NON SANNO LEGGERE
Sta sucitando un vespaio un articolo apparso poco piu' di un mese fa su PNAS (come dite? Se è uscito un mese fa, perchè proprio oggi il vespaio? Si vede che i solerti professori delle crociate anti-mascherine sono tornati oggi dalle vacanze...). In questo articolo (Risk of severe COVID-19 infection among adults with prior exposure to children | PNAS) viene studiato l'impatto di una pregressa infezione da coronavirus nei bambini sulla successiva capacità dei loro parenti stretti di contrastare la malattia da Covid-19.
Orbene, primo punto. Questa pregressa infezione NON è da coronavirus SARS-CoV2 (gli autori scrivono infatti: prior exposure to non-SARS-CoV-2 coronaviruses that commonly infect children confers some resistance to infection and severe illness from COVID-19). Quindi di cosa si tratta? Si tratta di coronavirus COMUNI (quelli del raffreddore, avete presente?) coi quali i bambini si sarebbero contagiati e che avrebbero trasmesso ai genitori. Questa immunità da coronavirus comuni rappresenterebbe una sorta di memoria che si applica anche al virus SARS-CoV2. Quindi cominciamo subito a dire che l'articolo in questione NON DICE AFFATTO che è giusto far contagiare i bambini con il virus SARS-CoV2 per rendere i parenti piu' "forti" contro la malattia.
E' un concetto nuovo? Ma nemmeno per sogno. Già due anni fa vi parlavo nella mia pagina di uno studio eseguito sul sangue di pazienti che erano stati contagiati con il coronavirus SARS-CoV del 2003 (lo ricordate?). In questo studio (Cross-reactive neutralization of SARS-CoV-2 by serum antibodies from recovered SARS patients and immunized animals | Science Advances) si vedeva come vi era una reazione in una buona percentuale di casi. Questa cosiddetta reazione crociata si basa su un concetto fondamentale. I vari coronavirus, anche se tendono a mutare, hanno una tendenza a conservare tra i vari ceppi o varianti una grandissima quantità di strutture comuni. Questo cosa signifca? Che c'è una buona probabilità che anticorpi contro un coronavirus reagiscano anche contro un altro tipo di coronavirus. Quanto grande è questa probabilità? non lo sappiamo con certezza, ma questo articolo che sta suscitando il vespaio mostra che la probabilità esiste. Ed è già qualcosa.
Secondo punto, si parla di MALATTIA e non di INFEZIONE. In altri termini, questa immunità crociata non garantisce dall'infezione (ci si puo' infettare lo stesso) ma protegge solo dalla malattia (ok, è ottima cosa, perchè significa che la probabilità di ammalarsi in modo grave è inferiore). Tuttavia questo pone un grosso problema, che piu' sotto vi diro'.
Terzo punto, i soggetti studiati (ovvero i genitori dei bambini) sono tendenzialmente giovani, come si puo' facilmente dedurre. Ovvero appartengono a una categoria A BASSO RISCHIO di sviluppare la malattia grave. Quindi l'impatto preciso della precedente infezione nei bambini ad opera di coronavirus comuni è difficile da quantificare.
Veniamo quindi alla conclusione e ai due (anzi, tre) problemi importanti che questo studio non chiarisce (e che invece i vari statistici con le fette di salame sugli occhi, nella loro spasmodica ricerca dell'aver ragione trascurano, come del resto hanno sempre fatto finora).
1) Non si stabilisce l'impatto di una infezione da SARS-CoV2 nei bambini sulla successiva malattia degli adulti. Ovvero da nessuna parte sta scritto che se i bambini continuano a venire a contatto con varie varianti di SARS-CoV2 allora i loro genitori saranno protetti dalla malattia causata da future varianti. E' solo un'ipotesi, non ancora verificata
2) Visto che comunque dall'infezione non si viene protetti, questa infezione puo' essere trasmessa ad altri membri della famiglia FRAGILI (esempio, i nonni). Qual è l'impatto in questa categoria? Positivo o negativo? Bisogna ancora studiare, non si sa ancora.
3) La reazione crociata puo' essere positiva ma anche negativa. Quando vi avevo parlato di plasma iperimmune, ricorderete che avevo scritto a quattro mani con il Prof. Alberto Beretta un post in cui si vedeva come il plasma ricco di anticorpi anti OC43 ad alta affinità sembrava avesse efficacia maggiore rispetto a un plasma con anticorpi a bassa affinità verso il recettore Fc. Questo si basava sul fatto che anticorpi a bassa affinità in un certo senso "scalzano" quelli ad alta affinità, di fatto impedendo loro di fare il loro lavoro e lasciando il virus libero di riprodursi. Un report a favore di questa ipotesi era quello di alcuni colleghi francesi che avevano notato una alta frequenza di pazienti ospedalizzati con anticorpi anti coronavirus comuni (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8299153/)
Insomma, puo' essere si' che questa immunità crociata aiuti, ma puo' essere che in certi casi non solo non aiuti ma sia addirittura dannosa. E la statistica sui grandi numeri e senza stratificare per caratteristiche cliniche o laboratoristiche fa guadagnare in conoscenza del quadro generale ma fa ovviamente perdere il focus su sottogruppi di pazienti.
In definitiva, questo articolo nulla è che un (ottimo) lavoro che conferma cio' che si sapeva. Ovvero che anticorpi contro coronavirus comuni POSSONO proteggere dalla Covid-19 grave. Ma il fatto che possano non esclude che invece, in alcuni casi, possano rivelarsi non protettivi. Quindi prima di partire lancia in resta contro chi predica prudenza, sarebbe meglio usare un po' piu' di cautela. O quantomeno (questo vale per chi dovrebbe avere una laurea abilitante a una professione medica o paramedica), LEGGERE BENE I DATI prima di gridare.
